IPOTESI DI COMPENSAZIONE IN SEDE FALLIMENTARE (ARTICOLO 56 L.F.)

..:: IPOTESI DI COMPENSAZIONE IN SEDE FALLIMENTARE (articolo 56, 2° co. L.F.).

 

Nel sistema della legge fallimentare è inserita una norma (art. 56) che consente ai creditori del soggetto fallito di compensare i loro crediti con i debiti verso il fallito stesso.

L’articolo 56 in particolare così dispone:

I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.

Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.

Si tratta di una disposizione evidentemente ispirata ad una esigenza di equità, in quanto riconosce il diritto, a chi viene a trovarsi nella posizione di creditore-debitore, di compensare le contrapposte ragioni, senza dover pagare, da un lato, il proprio debito per intero e, dall’altro, subire la soddisfazione del proprio credito in moneta fallimentare (che quasi sempre si traduce nell’integrale perdita del credito).

La compensazione nel fallimento rappresenta una particolare ipotesi della compensazione legale. E’ quindi soggetta alla stessa disciplina, divergendone soltanto in un punto: ai fini della relativa operatività non è infatti necessario che i contrapposti crediti siano diventati esigibili prima della dichiarazione di fallimento.

Può quindi realizzarsi la compensazione anche tra crediti e debiti non ancora scaduti a tale data, non assumendo rilevanza alcuna se sia il credito del fallito a non essere scaduto ovvero quello del creditore.

Non può tuttavia prescindersi da una condizione: che entrambi i crediti siano sorti anteriormente al fallimento.

L’ipotesi che si vuole affrontare non riguarda tuttavia la compensazione nel fallimento in generale bensì il caso particolare previsto dalla norma in esame come deroga.

Il secondo comma dell’art. 56 legge fallimentare dispone infatti che “per i crediti non scaduti, la compensazione non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore”.

Così come formulata, tale disposizione comporta il divieto di compensazione quando concorrono le due seguenti circostanze:

a) che il debitore (del fallito) abbia acquistato (da terzi) il credito (verso il fallito) dopo il fallimento o nell’anno anteriore;

b) che il credito acquistato abbia una scadenza successiva alla data di fallimento del debitore.

Si è voluto in tal modo evitare che vengano creati artificiosamente i presupposti della compensazione in danno del fallimento.

Il Legislatore ha infatti ritenuto che l’acquisto, dopo il fallimento del debitore o nell’imminenza dello stesso, di un credito non scaduto nei confronti dello stesso sia fatto proprio allo scopo di evitare il pagamento da parte del cessionario di un suo debito.

Il meccanismo presunto (e precluso) dalla norma sarebbe infatti vantaggioso sia per il cessionario (debitore verso il fallito) sia per il cedente (creditore del fallito).

Ciò in quanto, il primo potrebbe estinguere il proprio debito compensandolo con il credito acquistato ed il secondo beneficerebbe della differenza tra il corrispettivo della cessione, immediatamente ricevuto, e la percentuale, verosimilmente inferiore, che avrebbe invece ottenuto dal riparto fallimentare in tempi più lunghi.

Il tenore letterale della norma consente dunque di rilevare che il divieto di compensazione è espressamente previsto solo per l’acquisto di crediti non ancora scaduti.

Ciò fa ritenere, a contrario, che tale divieto non operi nel caso di cessione di crediti già scaduti al momento del fallimento.

Si è consapevoli dell’esistenza di un’opinione tendente ad estendere il divieto anche a tale ultima ipotesi.

La stessa si scontra tuttavia con la chiara previsione legislativa (della quale fa applicazione un’altra autorevole opinione).

Deve quindi essere riconosciuta, in mancanza di una norma che la vieti, la compensazione con i crediti scaduti acquistati nel periodo dell’anno anteriore al fallimento. In relazione al principio generale dell’insensibilità del patrimonio del fallito agli eventi successivi al fallimento si ritiene tuttavia che tale compensazione non possa essere egualmente consentita per gli acquisti di crediti effettuati dopo il fallimento.

Esemplificando, attraverso il meccanismo previsto dalla legge, il creditore di 100 euro nei confronti del fallito, potrebbe cedere il proprio credito per 50 euro, ad un altro soggetto, debitore a sua volta di 100 euro nei confronti del fallito.

Tale ultimo soggetto, essendo divenuto, a seguito della cessione, creditore nei confronti del fallimento, può avvalersi della compensazione al valore nominale ed estinguere interamente il proprio debito.

Ne consegue che il creditore cedente ottiene subito il corrispettivo di 50 euro e beneficia della verosimile differenza rispetto alla minore quota che ricaverebbe dal riparto fallimentare in tempi non prevedibili.

Il debitore cessionario ottiene invece il “risparmio” tra quanto pagato per l’acquisto del credito (euro 50) ed il proprio debito originario (euro 100), che avrebbe dovuto pagare per intero al fallimento in mancanza della compensazione.

(dott. Piergiorgio Ripa – piergiorgio.ripa@studioripa.it)

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